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ARTURO BUSI
5 - 30 ottobre 2019
Così il pittore racconta la genesi del gesto artistico: “Dal mondo delle forme, dei segni, dei colori si scende a quello concreto di un lavoro pittorico”. “L’autore” dice Busi “sceglie tra le opzioni possibili setacciando il proprio “delirio emotivo”. Il fruitore del dipinto può specchiarsi nell’opera, meditando su se stesso e chissà, dar luce alla parte oscura che vegeta in tutti noi, attraverso la propria sensibilità emotiva”. Ed è proprio questo il compito dello spettatore posto innanzi ai quadri di Busi, comprendere il tormento dell’animo dell’artista, le motivazioni di un gesto in cui tutti noi alfine possiamo ritrovarci.
Le opere di Busi, realizzate per meticolose sovrapposizioni di sfumature tonali, alcune più aderenti al segno grafico, altre invece quasi sfocate nella loro morbidezza, ci riportano subito al mondo interiore di un artista tanto profondo quanto complesso. È una pittura fatta di inconscio, una ricerca tecnica ed estetica che porta alla luce un’esperienza, una storia; è un paesaggio, o meglio, una suggestione di esso, mediato dal filtro dell’interiorità.
In questo luogo nuovo in cui l’accostarsi e il succedersi dei frammenti è continuo ed incessante, la pittura diventa evocazione. Sulla tela, che sembra un tessuto cangiante fatto di mille fili di seta intrecciati tra loro, lo spazio è gestito in una sequenza cromatica equilibratissima, in cui la rappresentazione del sé prende vita, un’esperienza esistenziale fatta della ricchezza di tutte le esperienze precedenti. Lo spazio si allarga e si infrange, riempito di colori ed emozioni in un caleidoscopio di sollecitazioni cromatiche di grande intensità; le tinte non sono violente, ma non per questo meno intense e una luce diffusa valorizza ogni luogo del quadro, con riflessi che sembrano uscire dalla tela stessa. È una forma di astrattismo non convenzionale, una pittura intima, in cui il colore non aggredisce, ma abbraccia l’opera dandole omogeneità.
La razionalità del progetto è comunque sempre presente, nulla è casuale: da un fondo, una superficie colorata, ogni più piccola sfumatura viene scelta, filtrata dall’aria e sprigionata sulla tela con effetti luministici dalla strepitosa, dolce, pastosa armonia. È un mandala, un gioco raffinato di contrasti, che attraverso infinite sfumature intermedie esalta la materia della pittura stessa, il colore, che si fa storia vivente e presente: l’opera travalica i propri confini fisici per diventare dunque metafisico luogo di vita in cui lo spettatore non può che riconoscersi.
Francesca Gualandi
Così il pittore racconta la genesi del gesto artistico: “Dal mondo delle forme, dei segni, dei colori si scende a quello concreto di un lavoro pittorico”. “L’autore” dice Busi “sceglie tra le opzioni possibili setacciando il proprio “delirio emotivo”. Il fruitore del dipinto può specchiarsi nell’opera, meditando su se stesso e chissà, dar luce alla parte oscura che vegeta in tutti noi, attraverso la propria sensibilità emotiva”. Ed è proprio questo il compito dello spettatore posto innanzi ai quadri di Busi, comprendere il tormento dell’animo dell’artista, le motivazioni di un gesto in cui tutti noi alfine possiamo ritrovarci.
Le opere di Busi, realizzate per meticolose sovrapposizioni di sfumature tonali, alcune più aderenti al segno grafico, altre invece quasi sfocate nella loro morbidezza, ci riportano subito al mondo interiore di un artista tanto profondo quanto complesso. È una pittura fatta di inconscio, una ricerca tecnica ed estetica che porta alla luce un’esperienza, una storia; è un paesaggio, o meglio, una suggestione di esso, mediato dal filtro dell’interiorità.
In questo luogo nuovo in cui l’accostarsi e il succedersi dei frammenti è continuo ed incessante, la pittura diventa evocazione. Sulla tela, che sembra un tessuto cangiante fatto di mille fili di seta intrecciati tra loro, lo spazio è gestito in una sequenza cromatica equilibratissima, in cui la rappresentazione del sé prende vita, un’esperienza esistenziale fatta della ricchezza di tutte le esperienze precedenti. Lo spazio si allarga e si infrange, riempito di colori ed emozioni in un caleidoscopio di sollecitazioni cromatiche di grande intensità; le tinte non sono violente, ma non per questo meno intense e una luce diffusa valorizza ogni luogo del quadro, con riflessi che sembrano uscire dalla tela stessa. È una forma di astrattismo non convenzionale, una pittura intima, in cui il colore non aggredisce, ma abbraccia l’opera dandole omogeneità.
La razionalità del progetto è comunque sempre presente, nulla è casuale: da un fondo, una superficie colorata, ogni più piccola sfumatura viene scelta, filtrata dall’aria e sprigionata sulla tela con effetti luministici dalla strepitosa, dolce, pastosa armonia. È un mandala, un gioco raffinato di contrasti, che attraverso infinite sfumature intermedie esalta la materia della pittura stessa, il colore, che si fa storia vivente e presente: l’opera travalica i propri confini fisici per diventare dunque metafisico luogo di vita in cui lo spettatore non può che riconoscersi.
Francesca Gualandi